Responsabilità dei sindaci e revisori contabili nei reati tributari

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    Feb 10, 2019
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    Mimmo Napoletano

    Da sempre sotto la lente d’ingrandiemnto di dottrina e giurisprudenza sono i compiti, i doveri e le responsabilità dei “controllori” delle imprese, ovvero: dei collegi sindacali e dei soggetti incaricati della revisione legale dei conti. Il collegio sindacale è un organo che fa parte della governance delle società, ciò comporta la responsabilità in solido con gli amministratori (articolo 2407 Codice civile). I sindaci hanno l'obbligo di partecipare ai consigli di amministrazione, possono procedere a ispezioni e controlli e possono chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni sociali e su determinati affari. Il revisore, invece, è un professionista (o una società) che svolge un incarico professionale in relazione al bilancio di esercizio e al bilancio consolidato; pertanto, la responsabilità del revisore è limitata al bilancio. Va precisato, quindi, che il revisore interviene in un secondo tempo, mentre il collegio sindacale partecipa alla vita della società. In linea generale, la responsabilità del collegio sindacale è più ampia in quanto riferita all'intera attività della società: tuttavia, in materia di bilancio la responsabilità del revisore è più diretta e specifica e, pertanto, se il collegio sindacale, legittimamente, ha fatto affidamento sul lavoro e sui controlli del revisore, la responsabilità di quest'ultimo può essere maggiore. Il controllo del collegio sindacale è sempre di legittimità: in tal senso sono chiare le norme di comportamento del collegio sindacale emanate dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, secondo cui al collegio sindacale non compete un controllo di merito sull'opportunità e la convenienza delle scelte di gestione degli amministratori, ma compete un controllo di legittimità sostanziale e di rispetto delle procedure e/o prassi operative. Questo consente al collegio interventi preventivi o sostitutivi esclusivamente nel caso in cui le conseguenze delle delibere appaiano pregiudizievoli per la società. I sindaci devono avere cognizione e vigilare sulla corretta e appropriata formazione del procedimento decisionale degli amministratori, ma non sono tenuti a valutare la convenienza delle scelte gestionali, compito primario dell'organo amministrativo. Non si deve dimenticare che, per sindaci e revisori, esiste l'obbligo di reciproco, tempestivo, scambio di informazioni sancito dall'articolo 2409-septies del Codice civile. Per esempio, se il revisore rileva che alcune operazioni non sono state contabilizzate correttamente deve informare il collegio sindacale, in quanto la verifica del bilancio è un compito che la legge affida al soggetto incaricato della revisione. Inoltre, il revisore controlla le valutazioni delle attività e passività che gli amministratori effettuano nel bilancio, mentre il collegio sindacale è chiamato a svolgere sul bilancio d'esercizio l'attività di vigilanza sull'osservanza della legge e dello statuto. In sostanza, al collegio sindacale spetta il controllo sull'osservanza, da parte degli amministratori, delle norme procedurali inerenti alla formazione, deposito e pubblicazione, non dovendo effettuare controlli analitici di merito sul contenuto del bilancio, né esprimere un giudizio sulla sua attendibilità. Le norme di comportamento concludono che il collegio sindacale non ha alcun obbligo di eseguire procedure di controllo per accertare la verità, correttezza e chiarezza del bilancio. Il Tribunale di Roma (sezione III, 20 febbraio 2012 n. 2730) ha sancito che non è compito del collegio sindacale verificare la correttezza delle valutazioni rese dagli amministratori o dagli altri soggetti indipendenti, ma è suo dovere verificare che le valutazioni predisposte a supporto dell'operazione straordinaria siano conformi ai criteri dettati dal legislatore per tali operazioni. Il Tribunale di Milano (13 novembre 2006) ha sancito che se il collegio sindacale ha correttamente vigilato, ma il danno si è ugualmente prodotto a causa del comportamento degli amministratori, sarà possibile chiamare a rispondere soltanto questi ultimi. Anche con riferimento al bilancio consolidato, per il collegio sindacale non è previsto alcun obbligo di relazione e neppure di formale espressioni di giudizio, che sono invece richiesti al revisore legale. Invece, se il collegio sindacale rileva che alcune decisioni prese dagli amministratori non sono conformi alla legge o allo statuto deve fornire tempestivamente l'informazione al revisore. La responsabilità penale degli organi di controllo nelle s.p.a. Il nuovo assetto civilistico introdotto dalla riforma del diritto societario per gli organi di controllo pone evidenti interrogativi in ordine ai riflessi che tali modifiche comporteranno sulla configurabilità e sull'ampiezza di posizioni di garanzia penalmente rilevanti. La riforma effettuata con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 laddove incide sulla disciplina dell'amministrazione delle società per azioni, modificando poteri e doveri degli organi di gestione e di controllo nel modello tradizionale (c.d. “latino”), e introducendo nuovi e originali (per il nostro ordinamento) sistemi di amministrazione (quello dualistico e quello monistico), con i correlativi organi di gestione (rispettivamente consiglio di gestione e consiglio di amministrazione) e di controllo (consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico e comitato per il controllo sulla gestione nel sistema monistico), pone evidenti interrogativi in ordine ai riflessi che la stessa potrà avere sul piano penalistico. La posizione di garanzia dei componenti degli organi di controllo Per quanto, in particolare, concerne gli organi di controllo, l'interrogativo principale pare concernere l'incidenza del nuovo “assetto” degli organi di controllo sulla possibilità di fare ricorso alla figura del reato omissivo improprio, che fino ad oggi ha permesso un'ampia (e spesso - come si chiarirà - ingiustificata) estensione ai sindaci della responsabilità penale in relazione a reati commessi dagli amministratori. Com'è noto, infatti, prendendo le mosse dal disposto dell'art. 2403 cod. civ., che prevede un obbligo di vigilanza sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo e dell'art. 2407 cod. civ., che introduce una responsabilità in solido con gli amministratori, «per i fatti e le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica», siè individuata una posizione di garanzia dei sindaci, rilevante nella prospettiva dell'art. 40, comma 2, cod. pen., volta al controllo dell'attività degli amministratori e all'impedimento di reati da parte degli stessi. La posizione di garanzia in parola, in quanto relativa alla gestione sociale stricto sensu, e non alla gestione dell'impresa sociale, come chiarito dall'art. 2403 cod. civ., che fa riferimento (nella vecchia, ma anche nella nuova formulazione) al controllo dell'amministrazione della società, avrebbe dovuto limitarsi ai reati propri degli amministratori e non avrebbe dovuto, invece, estendersi ai reati comuni; tutt'al più avrebbe potuto ritenersi idonea ad abbracciare i reati tributari, in considerazione del disposto di cui all'art. 8, comma 5, D.P.R. n. 600/1973, secondo cui «la dichiarazione delle società e degli enti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche, presso le quali esiste un organo di controllo, deve essere sottoscritta anche dalle persone fisiche che lo costituiscono o dal presidente se si tratta di organo collegiale». La figura del dolo eventuale A partire dagli anni '80, la giurisprudenza ha fatto ampio ricorso alla costruzione giuridica in parola, dilatandone notevolmente le possibilità applicative, e ciò sotto più punti di vista: infatti, mentre, da un canto, si è estesa la responsabilità dei sindaci anche a reati diversi da quelli “propri” degli amministratori, dall'altro, e soprattutto, si è operata una inaccettabile trasfigurazione di un coefficiente colposo, quale la violazione di obblighi di controllo, in dolo, esito che è stato reso possibile da un disinvolto impiego della figura del dolo eventuale. Il dolo, infatti, ha finito per essere argomentato o presunto dall'inadempimento dei doveri di vigilanza e di controllo: in particolare l'avere del tutto trascurato certe attività, l'assenteismo più o meno totale, il non curarsi di segnali d'allarme, pur percepiti, è stato ritenuto sufficiente a fondare «un addebito di dolo rispetto agli illeciti commessi dagli organi di gestione non assoggettati a controllo», in quanto attestante «l'accettazione del rischio del verificarsi dell'evento, non voluto, ma previsto come possibile». Sembra quindi naturale interrogarsi su quali potranno essere le conseguenze sulla situazione sopra descritta della entrata in vigore della nuova disciplina e quindi delle modifiche che verranno a subire i poteri/doveri del collegio sindacale, e più ancora della novità rappresentata dagli organi di controllo previsti per il sistema monistico e per quello dualistico. Va infatti considerato che l'art. 40, comma 2, cod. pen. permette l'equiparazione del «non impedire un evento» al «cagionarlo» solo in presenza di un dovere giuridico d'impedimento, e quindi di una posizione di garanzia in ordine alla tutela del bene offeso dall'evento: posizione di garanzia che, però, non trova alcuna descrizione nella disciplina penalistica, sicché il contenuto (e la stessa esistenza) di quest'ultima non potrà che dipendere dal complesso dei doveri e poteri giuridici che caratterizzano lo svolgimento delle funzioni che di volta in volta vengano in considerazione: in altri termini, tanto un soggetto potrà essere chiamato a rispondere, ex art. 40, comma 2, cod. pen., di un evento non impedito (che di solito, per quanto rileva nella presente sede, è un reato commesso da chi esercita funzioni amministrative), in quanto la legge (o altra fonte che si ritenga giuridicamente rilevante, tra cui deve collocarsi innanzitutto - secondo l'opinione dominante - il contratto) istituisca tale soggetto garante dell'integrità dei beni offesi da tale evento, attribuendogli il dovere di attivarsi per assicurare ad essi tutela e, soprattutto, conferendogli i necessari poteri. È evidente, quindi, la necessità di interrogarsi su come il nuovo assetto civilistico delle figure di controllo potrà incidere sulla configurabilità (e sull'ampiezza) di posizioni di garanzia penalmente rilevanti. La “sottrazione” del controllo contabile al collegio sindacale Come sottolinea la relazione governativa di accompagnamento al D.Lgs. n. 6/2003 l'innovazione più significativa per quanto riguarda i compiti del collegio sindacale è rappresentata dalla sottrazione a tale organo del controllo contabile, «attribuito ad un revisore o ad una società di revisione (artt. 2403 e 2409 bis, commi 1 e 2), con la sola eccezione, per di più facoltativa, per le società che, oltre a non fare ricorso al mercato del capitale di rischio, non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato (artt. 2403, comma 2, e 2409 bis, comma 3) ». Tale modifica ha determinato il venire meno dei doveri di controllo contabile stabiliti, prima della riforma, dall'art. 2403, comma 1, ult. parte, e comma 2, cod. civ., con la conseguenza - si legge ancora nella relazione governativa - che i compiti del collegio sindacale sono stati «limitati alla vigilanza sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società (art. 2403, comma 1) »: l'effetto finale sarebbe quindi che «l'ambito della responsabilità risulta meglio definito e sostanzialmente ristretto». In realtà, tale ultima conclusione ci sembra discutibile, quanto meno nella prospettiva penalistica, come ci accingiamo a chiarire. Il dato da cui occorre muovere è che - come osservato da attenta dottrina - dal punto di vista civilistico i sindaci, pur non essendo più gravati dell'obbligo di controllare direttamente la contabilità, per verificarne la corretta tenuta, mantengono comunque un'ampia competenza di «vigilanza contabile»: devono, infatti, vigilare sull'adeguatezza dell'assetto contabile e sul corretto funzionamento dello stesso (cfr. art. 2403 cod. civ.), e continuano ad essere gravati dell'onere, in sede di relazione annuale, di «fare le osservazioni e le proposte in ordine al bilancio e alla sua approvazione, con particolare riferimento all'esercizio della deroga di cui all'art. 2423, comma 4» (cfr. art. 2429 comma 2, cod. civ.). Quanto rilevato comporta che il generale obbligo di vigilare sull'osservanza della legge e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione (cfr. art. 2403 cod. civ.), che la riforma ha mantenuto in capo ai sindaci, non potrà che estendersi ad abbracciare anche la regolarità della tenuta della contabilità. D'altronde, i sindaci sono organo di controllo dotato di ampi poteri/doveri d'intervento (cfr. artt. 2403 bis, 2406 e 2409 cod. civ.), che possono risultare idonei ad impedire (assumendo quindi rilevanza ex art. 40, comma 2, cod. pen.) la commissione di reati che in ipotesi emergano essere in corso di esecuzione anche attraverso l'esame della contabilità: e il potere, nella prospettiva del reato omissivo improprio, «segna anche il limite della garanzia dovuta». La conclusione è che la sottrazione degli obblighi di controllo contabile non ha estromesso la corretta tenuta della contabilità dalla sfera oggetto della posizione di garanzia dei sindaci, essendosi, invece, limitata ad incidere sulle modalità di svolgimento - con riferimento appunto alla corretta tenuta della contabilità - del ruolo di garanzia. I sindaci, infatti, non sono più tenuti ai compiti di verifica della contabilità fino ad oggi previsti dall'art. 2403 cod. civ., e dalla riforma trasferiti agli organi di controllo contabile (cfr. art. 2409 ter cod. civ.); nondimeno, rimanendo garanti dell'osservanza della legge, continueranno a vigilare anche sulla corretta tenuta della contabilità, in particolare scambiando informazioni con gli organi di controllo contabile, e incrociandole con gli ulteriori elementi di cui gli stessi siano venuti in possesso (attraverso l'intervento alle adunanze del consiglio di amministrazione e alle assemblee, nonché attraverso i poteri di ispezione e di verifica di cui all'art. 2403 bis cod. civ.), per poi necessariamente attivarsi (ove occorresse, effettuando anche la denunzia ex art. 2409 cod. civ.) al fine di impedire la consumazione di reati che in ipotesi risultassero in corso di esecuzione. L'introduzione di un organo tecnico di controllo contabile Va peraltro riconosciuto che la presenza di un organo tecnico di controllo contabile non potrà che generare un legittimo affidamento (valido, peraltro, fino a quando non emergano circostanze concrete che rendano riconoscibile il fatto che tale organo non è in grado di esplicare correttamente i compiti allo stesso affidati) nella correttezza della tenuta della contabilità, in mancanza di censure da parte degli organi di controllo contabile. La tematica dell'affidamento attiene, però, essenzialmente alla colpa: l'affidamento, ove correttamente riposto, esclude, appunto, la colpa; nel caso, invece, in cui il principio in parola cessi di operare, riemerge la colpa e con essa inevitabilmente la responsabilità sul piano civilistico, ove sussiste sostanziale fungibilità fra dolo e colpa. Non così nel settore penale. Gli illeciti che vengono in considerazione nell'ambito del diritto penale societario sono infatti in gran parte dolosi: conseguentemente, in tali ipotesi, se i sindaci sono a conoscenza del fatto che è in corso di esecuzione un reato che essi hanno l'obbligo giuridico d'impedire, ove, potendolo fare, non si attivino per impedirlo, ne risponderanno ai sensi del disposto dell'art. 40, comma 2, cod. pen.; laddove, invece, non vi sia conoscenza di una tale situazione, non vi è possibilità di responsabilità, e ciò anche quando tale mancata conoscenza dipenda dall'avere fatto colposamente affidamento sulla correttezza dell'operato degli organi di controllo contabile (e dal non avere, quindi, effettuato ulteriori verifiche che, nelle circostanze concrete, sarebbero risultate doverose). In sostanza, nulla sembra cambiare, almeno da un punto di vista astratto, rispetto al passato: in realtà ciò che potrà mutare - com'è auspicabile avvenga - sarà solo il concreto atteggiamento della giurisprudenza. Infatti, se, come accennato in precedenza, in passato si è assistito ad una sostanziale e del tutto censurabile trasfigurazione di un atteggiamento colposo - quale la violazione dell'obbligo di vigilanza contabile gravante sui sindaci - in dolo, attraverso una dilatazione, oltre i limiti consentiti dal nostro ordinamento, della figura del dolo eventuale, è oggi possibile che la presenza di un organo di controllo contabile di carattere tecnico, che costituisce, in sostanza, un primo “filtro” di verifica contabile, valga in concreto a impedire un addebito ai sindaci a titolo di dolo (eventuale) di ogni “segnale di allarme” e “indice di rischio” colposamente non percepito. Il ruolo attribuito ai revisori Per quanto invece attiene ai revisori (si tratti del revisore contabile, o dell'amministratore o dei soci responsabili della revisione nelle società di revisione), si ritiene che essi non possano essere considerati titolari di una posizione di garanzia, penalmente rilevante ai sensi dell'art. 40, comma 2, cod. pen., e ciò in quanto, a differenza dei sindaci, non sono dotati di significativi poteri d'intervento, volti (anche) all'impedimento di reati. Del resto offre conferma della conclusione lo stesso obbligo di scambiare informazioni con il collegio sindacale, previsto dall'art. 2409 septies cod. civ., che sembra essere finalizzato anche a garantire a tale ultimo organo, dotato di poteri più incisivi, la possibilità di esplicare correttamente la propria funzione di garanzia, diretta, in generale, ad assicurare l'osservanza della legge. I responsabili della revisione, quindi, sono titolari non tanto di un obbligo di garanzia (suscettibile di generare una responsabilità a titolo di concorso, ex art. 40, comma 2, cod. pen., nel reato “non impedito”), quanto di un semplice obbligo di sorveglianza, la cui violazione assume rilevanza penale solo nei casi in cui sia presa in considerazione da uno specifico reato. Ovviamente, quanto rilevato non esclude la possibilità di un concorso con un contributo attivo, e cioè a titolo commissivo, nei reati eventualmente posti in essere dagli organi di gestione: ciò che si verificherà, in particolare, allorquando i revisori forniscano un contributo psicologico, assicurando, prima della consumazione di tali reati, che gli stessi non verranno portati alla luce nelle proprie relazioni e comunicazioni. L'obbligo di vigilanza imposto ai sindaci Se la sottrazione dei compiti in materia contabile non ha inciso in senso riduttivo sulla posizione di garanzia dei sindaci (fatto salvo quanto sopra osservato circa la possibilità che, di fatto, essa faciliti un mutamento del rigoristico atteggiamento giurisprudenziale), si deve, per converso, segnalare che la modifica apportata alla formulazione del comma 1 dell'art. 2403 cod. civ., introducendo - con previsione che richiama (pur senza ripeterlo integralmente) il disposto dell'art. 149, comma 1, lett. c) , Tuf (Testo Unico della Finanza – D.Lgs. 58/1998), relativo alle società quotate - l'obbligo di vigilanza «sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento», sembra - ove la formula non venga correttamente intesa - esporre i sindaci al pericolo di una illimitata espansione della responsabilità degli stessi, a titolo di concorso omissivo, ex art. 40, comma 2, cod. pen. La preoccupazione sembra farsi particolarmente concreta ove si tenga conto della recente disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, introdotta con il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Tale normativa contempla, l'adozione e l'attuazione, al fine di escludere la responsabilità amministrativa dell'ente, di modelli di organizzazione, di gestione e di controllo idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, e ciò sia per l'ipotesi di reati commessi dai vertici (art. 6), sia per quella - che, però, non sembra rivestire interesse nella prospettiva in esame - di reati commessi da «soggetti sottoposti all'altrui direzione» (art. 7). La vigilanza, imposta ai sindaci dall'art. 2403 cod. civ., sulla «adeguatezza dell'assetto organizzativo (...) e sul suo concreto funzionamento» sembra doversi estendere anche ai modelli di organizzazione finalizzati alla prevenzione dei reati, che debbono considerarsi parte dell'assetto organizzativo cui fa riferimento l'art. 2403 cod. civ.. Di qui - si teme - la possibile tentazione di ricondurre causalmente ai sindaci, nella prospettiva dell'art. 40, comma 2, cod. pen., ogni reato commesso dai vertici di gestione, e in particolare dagli amministratori, che avrebbe potuto essere impedito da un più idoneo modello di organizzazione e/o da una più adeguata struttura di controllo interno, che nel caso concreto è venuta a mancare (o semplicemente non ha funzionato), nell'inerzia colpevole dei sindaci, che, in ipotesi, non abbiano fatto quanto potevano e dovevano per rilevare le carenze dei modelli organizzativi dell'ente. La responsabilità penale dei sindaci Una prima considerazione da fare è che, anche aderendo ad una tale costruzione, la responsabilità penale dei sindaci (quanto meno nella maggior parte dei casi) esulerebbe per difetto di dolo (giacché per lo più vengono in considerazione delitti dolosi), correttamente inteso come coscienza e volontà reali e riferite allo specifico reato che volta per volta viene in considerazione. Il momento causale Prima ancora, però, grande attenzione dovrà essere dedicata al momento causale, giacché risulterà arduo, se non impossibile, nella generalità dei casi, accertare che il singolo reato che viene in considerazione avrebbe potuto, con «elevato grado di credibilità razionale», essere evitato dai sindaci, esercitando una più attenta vigilanza sui modelli organizzativi e sugli organi di controllo interno. La prova di un tale legame causale si presenta, infatti, particolarmente complessa, implicando la dimostrazione che: 1) una diversa organizzazione avrebbe verosimilmente impedito quello specifico reato; 2) l'attivazione dei sindaci (che, per quanto dotati di significativi poteri, non hanno comunque poteri di gestione) avrebbe portato all'adozione e all'attuazione della diversa organizzazione di cui sub 1). Si tratta però di un percorso dimostrativo - com'è evidente - oltremodo complesso in quanto - come si è visto - implica una doppia dimostrazione di rilevanza causale di condotte omissive (le quali presentano sempre particolare difficoltà sul piano dell'accertamento del rapporto di causalità), che dovranno essere prese in considerazione nella loro interrelazione con le ipotetiche condotte che, in caso di attivazione dei sindaci per porre rimedio alle carenze organizzative dell'ente, verosimilmente avrebbero tenuto gli organi di gestione: nella maggior parte dei casi sarà una sorta di probatio diabolica . La conclusione è che i nuovi compiti assegnati ai sindaci, per la loro ampia portata e per la sostanziale genericità, non sembrano di per sé idonei - se rettamente intesi e innestati nel sistema penale - a determinare significativi ampliamenti delle posizioni di garanzia. La posizione degli organi di controllo nel sistema dualistico e monistico I rilievi sin qui sviluppati con riferimento ai sindaci del tradizionale “sistema latino”, sembrano riferibili, senza necessità di alcuna precisazione e adattamento, anche ai componenti del consiglio di sorveglianza, organo di controllo nel sistema dualistico. Il nucleo fondamentale delle competenze del consiglio di sorveglianza è infatti costituito dalle «funzioni di vigilanza proprie dei sindaci» (alle quali viene sottratta solamente la possibilità di esercitare il controllo contabile nel caso previsto dall'art. 2409 bis, comma 3, cod. civ.) : in particolare, l'art. 2409 terdecies, comma 1, lett. c) , cod. civ. richiama l' art. 2403 comma 1, cod. civ., che - come si è già sottolineato - costituisce, per così dire, il nucleo normativo della costruzione della posizione di garanzia dei sindaci. Così come i compiti, anche i poteri del consiglio di sorveglianza sono modellati con riferimento a quelli del collegio sindacale (cfr. art. 2409 quaterdecies cod. civ.) : nessun ostacolo, quindi, ad una mera trasposizione, con riferimento al nuovo organo, della costruzione sviluppata con riferimento ai sindaci. Ben diversa appare la posizione dei membri dell'organo di controllo previsto nel sistema monistico, e cioè il comitato per il controllo sulla gestione. A tale organo, composto da amministratori non esecutivi, nominati, salvo diversa disposizione dello statuto, dal consiglio di amministrazione, sono attribuite due serie di funzioni: 1) vigilare sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione; 2) svolgere gli ulteriori compiti affidatigli dal consiglio di amministrazione con particolare riguardo ai rapporti con i soggetti incaricati del controllo contabile (cfr. art. 2409 octiesdecies, comma 5, lett. b) e c) , cod. civ.). L'unico compito predefinito (in quanto fissato dalla legge) è quindi rappresentato da un'ampia funzione di vigilanza, dal contenuto sostanzialmente corrispondente ai compiti descritti, per il collegio sindacale, dall'ultima parte del comma 1 dell'art. 2403 cod. civ.: manca invece ogni riferimento alla principale funzione assegnata dalla prima parte della disposizione in esame ai sindaci, e sulla quale si è fondata la costruzione della posizione di garanzia degli stessi, e cioè la vigilanza sull'osservanza della legge, e oggi anche sul rispetto dei principi di corretta amministrazione. È quindi inevitabile concludere che «rispetto al collegio sindacale il comitato non sembra chiamato a svolgere compiti di vigilanza sull'osservanza della legge e dello statuto né una generale vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione: dunque né un generale controllo di legalità né un controllo sulla diligente amministrazione del consiglio di cui pure fa parte», con la conseguenza che il comitato in parola deve essere considerato «più un organo istruttorio del consiglio di amministrazione sui profili relativi al controllo della struttura societaria che un organo di controllo dell'amministrazione». Si è quindi in presenza di un organo che non sembra essere titolare di una effettiva posizione di garanzia, bensì di una mera posizione di sorveglianza, inidonea quindi, come si è già rilevato, a giustificare un'attribuzione di responsabilità penale nella prospettiva dell'art. 40, comma 2, cod. pen.. La conclusione, del resto, trova conferma nei rilievi svolti nei primi commenti in sede civilistica, ove si è osservato che la nuova disciplina sembra condurre a «una deresponsabilizzazione, nel sistema monistico, dell'organo di controllo, a eccezione del caso dell'omesso intervento nonostante la conoscenza dei fatti pregiudizievoli» (ipotesi in cui la responsabilità, peraltro, si fonderebbe sulla qualifica di membri del consiglio di amministrazione - che pur sempre caratterizza i componenti del comitato di controllo - e sul conseguente dovere di attivarsi ricavabile dall'art. 2392 comma 2, cod. civ.). Rimane la possibilità che una posizione di garanzia sorga nello svolgimento della seconda serie di compiti cui sopra si è fatto riferimento, cioè quelli affidati direttamente dal consiglio di amministrazione, atteso che le posizioni di garanzia possono avere anche natura derivata, e conseguire ad un atto di autonomia negoziale, come in particolare un contratto, in cui intervenga come dante causa il titolare o il garante originario del bene. Ciò, ovviamente, implicherà che all'assegnazione del “dovere” di garanzia, si accompagni l'attribuzione dei poteri necessari a garantire l'effettivo espletamento del ruolo di garante. Concludendo Responsabilità penale dei sindaci I sindaci sono responsabili, direttamente ovvero in concorso con gli amministratori anche penalmente nei casi previsti dalla legge. È altresì possibile un concorso di responsabilità tra sindaco e collaboratore. La responsabilità penale dei sindaci cessati dall'incarico permane sino al momento della loro effettiva sostituzione. È stato abrogato l'obbligo disposto dal previgente art. 2642 cod. civ., da parte del cancelliere dell'Autorità giudiziaria, di comunicare ogni sentenza penale a carico dei sindaci per reati commessi nell'esercizio o a causa del loro ufficio all'organo che esercita la funzione disciplinare sugli iscritti all'albo professionale per eventuali provvedimenti disciplinari (art. 1, D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61). La condanna alla reclusione non inferiore a sei mesi comporta per i sindaci l'interdizione temporanea dagli uffici direttivi (art. 32 bis cod. pen.). Reati in concorso con gli amministratori (art. 2407 comma 2, cod. civ.) I sindaci rispondono dei reati commessi dagli amministratori quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in conformità agli obblighi derivanti dalla carica. Vale quindi la norma generale che per l'accertamento della responsabilità richiede il dolo, cioè l'evento dannoso preveduto e voluto come conseguenza dell'azione od omissione (art. 43 cod. pen.) o anche il mancato impedimento di un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo (art. 40 cod. pen.). Sono esenti da responsabilità i sindaci che:  assolvono diligentemente ai doveri di controllo previsti dalla legge;  assolvono al dovere di vigilare sull'attività degli amministratori;  in caso di omessa o ingiustificato ritardo nella convocazione dell'assemblea, da parte degli amministratori, convocano l'assemblea ovvero convocano l'assemblea se ravvisano fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere (art. 2406 cod. civ.);  impugnano le delibere del consiglio di amministrazione che possono recare danno alla società (art. 2391 comma 3, cod. civ.). Responsabilità fiscale Omessa sottoscrizione della dichiarazione dei redditi (art. 9, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997) I sindaci devono sottoscrivere la dichiarazione dei redditi della società e la dichiarazione annuale Iva. In mancanza della sottoscrizione si applica la sanzione amministrativa da 258,23 a 2.065,83 euro. I sindaci rispondono penalmente se concorrono in modo attivo e doloso alla realizzazione di reati fiscali. Diversamente i sindaci sono responsabili direttamente e autonomamente solo dei reati fiscali conseguenti all'inadempimento dei loro doveri di controllo e vigilanza e che hanno contribuito a commettere, per esempio dichiarazione fiscale infedele per contrasto con le risultanze contabili.