Sanzioni penali tributarie e responsabilità del professionista

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    Feb 10, 2019
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    Incontro di studi del 14 dicembre 2018 Costituzione: articolo 25; Codice penale: articoli nn. 48, 51, 110, 119, 416; D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 24192: art. 7; D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74: art. 2, 3, 4, 5, 8, 9, 10 quarter, 13 bis; Legge 27 luglio 2000, n. 212: art. 10 bis; Legge 11 marzo 2014, n. 23: art. 8; D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158; La responsabilità penale dei professionisti esercenti attività di consulenza per conto di imprese o società proprie clienti, è da sempre al centro del dibattito dottrinario. Un’altra questione, altrettanto spinosa, nell’ambito del diritto penale tributario, relativa ai possibili profili di responsabilità penale del professionista medesimo a titolo di concorso con il proprio cliente, è quella derivante da reati “propri”, ovvero per illeciti commessi in qualità di sindaco o componente di altri organi di controllo societario, va chiarito che in questa sede ci si limiterà ad affrontare. Non può, escludersi, che il professionista possa essere chiamato a rispondere a titolo di concorso per il reato commesso dal proprio cliente non soltanto a titolo di “dolo diretto” nel caso in cui sia provato che lo stesso abbia dato intenzionalmente un qualsiasi contributo causale, di tipo materiale o morale, alla realizzazione del fatto delittuoso del cliente, agevolandone la condotta o determinandone o rafforzandone la volontà con un proprio comportamento cosciente e volontario, ma anche a titolo di “dolo eventuale” allorché si sia rappresentato in concreto la possibile realizzazione del fatto criminoso e, nonostante tale previsione, abbia agito ugualmente prestando il proprio contributo. La riforma delle sanzioni penali-tributarie operata dal D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 ha introdotto una specifica aggravante (art. 13 bis, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000) con aumento di pena della metà nel caso di concorso del professionista nel reato fiscale, purché ricorrano talune condizioni di non facile individuazione che per essere circoscritte necessiteranno, inevitabilmente, dell’interpretazione giurisprudenziale. Nulla quaestio in relazione al concorso del professionista nel reato fiscale da parte del cliente-contribuente, laddove, oltre a fornire al proprio assistito il supporto tecnico, lo assista materialmente, sostenuto dal necessario coefficiente soggettivo, nel compimento dei relativi atti, a esempio predisponendo già una dichiarazione infedele o fraudolenta o provveda alla fatturazione per conto del cliente di operazioni inesistenti. Potendo anche il consiglio tecnico costituire condotta di compartecipazione, ci si interroga sui limiti di liceità dell’attività di consulenza, senza trascurare il fatto che una illimitata capacità espansiva della fattispecie plurisoggettiva eventuale può incidere pesantemente nello svolgimento dell’attività professionale al punto da paralizzarla. Sussiste, quindi, responsabilità penale qualora il professionista persuada il cliente ad adottare un certo comportamento evasivo, ispirando e istigando la specifica azione criminosa di quest’ultimo, mentre deve ritenersi pienamente lecita e, quindi, penalmente irrilevante la prospettazione di diverse possibili soluzioni giuridiche, illustrandone pro e contra anche sotto il profilo penale, in modo tale che il cliente possa autodeterminarsi in maniera consapevole. Alla luce della sopravvenuta irrilevanza penale dell’elusione fiscale stabilito ad opera del “nuovo” art. 10 bis, legge 27 luglio 2000, n. 212 (cd. Statuto del contribuente), l’aggravante di cui all’art. 13 bis, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000 non potrà trovare applicazione in tutti quei casi che rientrano nell’ambito dell’elusione e non dell’evasione, nella misura in cui la linea di confine fra le due condotte potrebbe essere rappresentata dalla presenza nei “modelli di evasione” di mezzi fraudolenti per la cui definizione soccorre la nuova disposizione dell’art. 3, D.Lgs. n. 74/2000, in tema di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, che a tal fine richiama operazioni “soggettivamente o oggettivamente simulate”. Quanto alla problematica ravvisabilità del concorso morale del professionista nel reato del cliente a titolo di dolo eventuale, dovrà ritenersi escluso quando il parere fornito si riveli neutro, privo cioè di connotati che caratterizzano la spinta morale finalizzata. Di conseguenza, il consulente non potrà che essere chiamato a rispondere del reato solo ove la condotta dello stesso risulti coperta da un dolo intenzionale.